di Fatih Akin
Con Birol Ünel
Sibel Kekrilli
Germania 2004
Non so, l’avevo sempre snobbato. Negli ultimi anni questi film dai titoli così pretenziosi mi sanno tanto di cineforum radical chic, film che quando ci casco mi deprimono in maniera incredibile, nel loro sfoggio di cultura multietnica, di politically correct, di “quanto sono intellettuale mentre vedo questi film sconosciuti e impegnati mentre la massa si accontenta di Di Caprio”.
La pellicola (tedesca) è ormai vecchiotta, del 2004, si vede che questi ragionamenti li faccio ormai da parecchio tempo.
Però su quest’opera di Fatih Akın mi bagliavo.
Sarà che me lo sono gustato particolarmente, mai pensavo durante il tardo pomeriggio di un sabato qualunque di riuscire a ritagliarmi due ore tutte per me, solo per me.
Sarà che il resto della giornata è stato un tour tutt’altro che esaltante tra centri analisi e pronto soccorso, e un dvd con bottiglia di acqua ghiacciata ai piedi del divano mi è parso il non plus ultra.
Sarà tutto, ma il film merita, è una favola parecchio punk, con una colonna sonora strepitosa (Birthday Party, Depeche Mode, Sisters of Mercy), che mi ha fatto riassaporare le atmosfere magnifiche di Istanbul (decadenza, aromi forti, terrazze di alberghetti decrepiti a picco sul porto, ululati dei muezzin a tutte le ore), piena zeppa di passione, riflessioni sulla vita che è il matematico frutto delle nostre scelte (vedi i titoli di coda a suon di "Life's What You Make It"), e non ce la possiamo prendere con nessuno se non con noi stessi.
L’interprete maschile è il fenomenale cuoco che ho potuto ammirare in Soul Kitchen, non so se ricordate, ha una faccia bellissima e tanto triste. Lei possiede un fascino obliquo, elegante.
Insieme sono perfetti. Perfetti tra loro e per il ruolo che interpretano. All’inizio li detesti e poi nasce un’umana comprensione per le loro storie, e capisci che non c’erano altre vie d’uscita, che doveva essere così, e che tutti i tasselli hanno un senso, il senso che molti di noi si sforzano di dare alla propria esistenza, e che molti altri non sanno nemmeno cosa sia, nè si pongono il problema di indagare.
Il tema del vero amore, che lo riconosci perchè ti fa stare meglio e ti fa diventare una persona più consapevole, mi sta particolarmente a cuore quando è affrontato in maniera così diretta.
Il titolo originale, “Contro il muro”, era molto più veritiero e onesto.
Forse, con un titolo così, avrei già apprezzato il film nel 2004.
O forse il momento giusto era per me l’estate del 2013: libri e film quasi sempre ci chiamano, come sirene impertinenti, e a quel punto dobbiamo lasciarci andare.
in due parole, tanto per non farla lunga.
- pa
- Grafica milanese. Ossessionata, ossessiva, ossessionante (vedi alla voce figlia e madre e moglie, decisamente ossessionante). In un'altra vita volevo essere una di quelle tizie che vanno in giro a scoprire le nuove tendenze, si dice così? Come si porta l'orlo dei jeans e come ci si trucca per avere un aspetto vissuto ma etereo, cose di questo tipo. Nel frattempo cerco di fare poche cose ma discretamente bene. Non mi sono comprata l'impastatrice, per intenderci. E sono di quelle convinte che l'arte ci salverà la vita. Sempre se non ci prenderemo troppo sul serio, però.
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4 commenti:
Film bellissimo, passionale ed inteso.
Apprezzato allora come ora.
Gran recupero!
Ogni volta che leggo cosa ti vedi, e lo paragono a quello che mi vedo io, mi sento veramente l'ultimo dei beceri.
Mah, magari un giorno o l'altro migliorerò anch'io.
Luca, guarda, non c'è assolutamente bisogno di cambiare o " migliorare" come dici tu. Dal cinema ognuno di noi cerca qualcosa di diverso, così come dai libri. Anche io ogni volta che vedo le cose meravigliose che realizzi in photoshop mi sento pigra e noiosa.
anche io l'ho amato tanto questo film, l'ho visto due volte.
non è come quei film pakistan/indian brit melting pot.
è un'altra cosa.
ps andate il 6 a vedere marco? io ci sto pensando seriamente, anche se è durissima per due giorni (ancora lavoro) un abbraccio forte!
MArtina
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